Se il tema diventasse la competenza?

12 Maggio 2022

Non è questione di vocali – O o A – né di età, ma deve essere la competenza a fare la differenza.

È proprio partendo dalla intrinseca “diversità” che occorre costruire concreti strumenti per garantire pari opportunità.

Il mio percorso (in ordine temporale), prima come Avvocato penalista e poi come Mamma, vuole provare ad essere una fonte – seppur minima – di ispirazione per ragionare insieme in merito alle problematiche attuali ed effettive, nonché individuare possibili soluzioni che siano di aiuto a quelle donne che sono alla ricerca di una crescita professionale e/o che non devono essere costrette a scegliere tra professione e maternità.

Nella cristallinità alla quale vuole ispirarsi questa breve riflessione non può non ammettersi che i sacrifici, che come avvocato donna prima e come mamma poi, ho fatto e continuo a fare sono certamente notevoli, pur avendo a fianco un marito, padre e manager, anche lui in crescita professionale, che ha fatto e fa la sua parte.

E allora, un primo argomento trasversale a noi donne è la necessità di continuare ad abbattere i pregiudizi che ancora oggi ostacolano il nostro percorso di crescita professionale. È superfluo ricordare quante volte sono stata apostrofata come “signorina, signora e dottoressa”, anche ora che sono a vent’anni dall’inizio della professione e altri diversi dalla laurea, e non sarebbe un problema se queste parole non fossero lo specchio della diversa e sottintesa valutazione che prima facie viene svolta sulla donna professionista.

E se è vero che, come tutti i valori culturali, è più difficile trovare degli strumenti concreti ed efficaci che ne consentano l’applicazione quotidiana, la forza della propagazione e del “far rete” tra professioniste può costituire una prima valida soluzione; così come il lavorare sul riconoscimento del diritto a ricevere lo stesso compenso che, a parità di competenze e di attività, riceverebbe un collega.

Un secondo argomento trasversale che si interseca con il diritto alle pari opportunità attiene al non dover scegliere tra professione e maternità.

Una scelta che personalmente non ho fatto, né sono stata costretta a fare, in quanto ho voluto e potuto portare avanti entrambi i progetti di crescita professionale e di famiglia, mettendo al centro il valore della c.d. bigenitorialità: la crescita dei figli come progetto comune che vedevano e vedono mamma e papà contribuire in egual misura, con eguali rinunce e con uguali “sensi di colpa”.

Quando è nata la nostra prima figlia, anche papà ha cambiato pannolini o dato il biberon la notte mentre io ero in trasferta per l’udienza l’indomani o stavo scrivendo un atto in scadenza, così come abbiamo deciso insieme di mandare le bambine all’asilo nido e a mano a mano che sono cresciute abbiamo spiegato loro l’eguale diritto al lavoro, l’eguale importanza e l’eguale dignità delle professioni svolte da entrambi.

Per la verità, è proprio grazie alla consapevolezza di diventare mamma che ho preso decisioni coraggiose che hanno lasciato un importante segno nella mia crescita professionale. Ed infatti, al sesto mese della mia prima gravidanza, ho deciso di passare da uno studio boutique ad un importante realtà internazionale: si trattava di un salto nel vuoto, di un cambiamento radicale, anche considerando che il percorso di integrazione del diritto penale in studi multi-practice era ad una fase iniziale. A circa 15 giorni dalla nascita di Ludovica, ho partecipato alla perquisizione di quello che sarebbe stato il mio “processo di lancio”, nel quale era coinvolta una delle più importanti agenzie di rating e, trascorsa una settimana dal parto di Matilde, non solo avevo già rimesso la toga per partecipare ad una udienza nell’ambito di un notorio processo di corruzione sanitaria, ma avevo iniziato la preparazione della discussione conclusiva del procedimento alla agenzia di rating. Un file rouge che è valso alle mie figlie – simpaticamente, da parte del Giudice – il soprannome di “bambine del rating”.

Il tutto in un ricercato equilibro – certo un po’ da giocolieri – tra lavoro e “noi”, decidendo anche quali rinunce non avremmo mai fatto (portare sempre uno dei due le bambine a scuola, tornare per il bagno e la cena insieme e per raccontare la favola della buona notte, esserci sempre alle recite e alle gare sportive…). È vero, nonostante, secondo alcuni fossimo dei “giovani” genitori perché Ludovica è arrivata quando io avevo 33 anni e mio marito 31, e Matilde rispettivamente a 36 e 34 anni, avevamo le possibilità economiche che ci consentivano di pagare le rette mensili dell’asilo nido, baby-sitter e quanto necessario…. Questo è innegabile. Ma è proprio sulla base di queste innegabili esigenze che, dopo aver iniziato ad abbattere i pregiudizi, occorre lavorare insieme su proposte di strumenti concreti a disposizione di tutte le professioniste che vogliano utilizzarli, che consentano di non scegliere tra lavoro e vita privata: strumenti quali flessibilità, parità salariale, agevolazioni economiche e convenzioni, per arrivare a pensare ad asili nido all’interno dei Tribunali.

Dal confronto non solo tra e con donne, ma anche tra e con uomini, possono venire idee e soluzioni importanti per mettere al centro il valore della capacità e della competenza professionale senza scelte diverse a cui dover sottostare.

Ed è per questo che ho pensato di dare il mio contributo candidandomi nelle prossime elezioni – in data 24, 25, 26 maggio – per essere delegata al XXXV° Congresso Nazionale Forense, quale occasione per dare un impulso concreto affinché alle giovani donne “sia davvero consentito di essere il motore del cambiamento”.

E per un sorriso finale, queste riflessioni sono state scritte durante l’andirivieni Milano-Arezzo, Arezzo-Milano e l’indomani, Milano-Arezzo, Arezzo-Milano: svariate ore di treno avanti e indietro, anziché una notta in hotel, per mantenere, il più possibile, fede al mio impegno della “favola della buonanotte”.

 

Jean Paule Castagno

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