Riders: lavoratori autonomi o subordinati?

6 Febbraio 2019

A cura dell’avvocato Giorgio TregliaGiorgioTreglia-39

Ritorna di attualità il tema della dicotomia tra lavoratori autonomi e subordinati applicata ai famosi riders, gli attori della gig economy.

Come forse si ricorderà, il Tribunale di Torino era stato adito da alcuni giovani lavoratori i quali chiedevano che, per le modalità di svolgimento dell’attività che essi svolgevano la datrice di lavoro, fossero dichiarati lavoratori subordinati.
In primo grado il Giudice aveva dato loro torto, dichiarando che per le modalità di svolgimento di quel rapporto era da escludersi ogni ipotesi di subordinazione. La Corte d’Appello torinese, con la sentenza n. 2619 del 4 febbraio 2019, ha in parte modificato il percorso del Giudice di primo grado.

Innanzitutto è chiarito che il presunto datore di lavoro (per la cronaca di tratta di Foodora) faceva compilare un formulario ai riders, li convocava a piccoli gruppi presso l’ufficio di Torino e chiariva che il singolo rider doveva essere in possesso di una bicicletta e di uno smartphone, dopodiché veniva proposta la sottoscrizione di un contratto di “collaborazione coordinata continuativa” con la possibilità per il lavoratore di accettare oppure no una specifica corsa a seconda delle proprie disponibilità.
Il Giudice di primo grado aveva dichiarato che erano del tutto carenti gli indici della subordinazione; tuttavia la Corte d’Appello è stata, con questa sentenza, di contrario avviso.

Qui è detto che la sussistenza della subordinazione è da escludersi in quanto i riders erano liberi di dare o meno la propria disponibilità per i vari turni offerti dall’azienda: erano loro che decidevano se e quando lavorare senza dover giustificare tale decisione e potendo addirittura omettere la prestazione del servizio, anche se la disponibilità era stata accettata. In sostanza mancava il requisito dell’obbligatorietà della prestazione.
A questo punto la Corte si discosta dalla sentenza di primo grado e precisa che, in base all’art. 2 del decreto legislativo 81/2015 il legislatore ha individuato una sorta di tertium genus: un qualcosa che sta a metà tra la subordinazione pura, come indicata dall’art. 2094 c.c., e la collaborazione coordinata continuativa regolata dall’art. 409 n. 3 c.p.c.

La conclusione cui giunge la Corte è, sostanzialmente, la seguente: l’art. 2 del decreto 81 non comporta la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra le parti, ma semplicemente l’applicazione del rapporto di lavoro subordinato ai rapporti di collaborazione autonoma.
In sostanza la collaborazione autonoma resta tale ma ogni altro aspetto riguardante la sicurezza, l’igiene, la retribuzione diretta e differita, i limiti di orario, ferie e previdenza si regolano come si trattasse di un rapporto di lavoro subordinato.
Ai riders, quindi, va riconosciuto il diritto di ottenere il calcolo della retribuzione diretta, indiretta e differita come stabilito da un contratto collettivo applicabile ad un dipendente lavoratore subordinato.

La sentenza ha creato una nuova figura che potremo definire del lavoratore autonomo “quasi subordinato”. Dunque un’eventuale azienda che fruisca dell’attività di lavoro di un rider dovrà pagargli tutte le retribuzioni come se si trattasse di un lavoratore dipendente pur continuando a ritenerlo autonomo!
L’interpretazione della Corte territoriale crea non poche perplessità; personalmente ritengo che la soluzione contenuta in questa sentenza sia davvero ardita.

Vedremo che ne penserà la Corte Suprema. Nel frattempo viva l’incertezza del diritto!

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