Nasrin Sotoudeh: 38 anni di carcere e 148 frustate perché avvocato

12 Marzo 2019

AlessandroBastianello-59A cura di Alessandro Bastianello

È notizia di oggi. 38 anni di carcere e 148 frustate. Questa la pena inflitta a Nasrin Sotoudeh, cittadina iraniana rinchiusa nel carcere di Evin. La sua colpa? Essere avvocato e difendere i diritti delle donne e i diritti umani. Prima di lei Shirin Ebadi aveva subito la stessa sorte. Condannata ed esiliata. Prima magistrato, esonerata dall’incarico dal regime totalitario che si era insediato, ha continuato la sua lotta per i diritti delle donne e dei più deboli come avvocato.
Il suo impegno ha meritato il conferimento del premio Nobel per la pace.

Di Nasrin leggiamo che nel suo studio c’è una statua della giustizia con la bilancia e la spada. Un simbolo che la identifica, che dichiara la sua appartenenza alla classe degli avvocati. Un segno che indica i valori e i principi a cui si ispira e che in tanti condividono tanto che il codice deontologico europeo afferma che in una società fondata sul rispetto della giustizia, l’avvocato riveste un ruolo speciale. Il suo compito non si limita al fedele adempimento di un mandato nell’ambito della legge. L’avvocato deve garantire il rispetto dello stato di Diritto e gli interessi di coloro cui deve difendere i diritti e le libertà.

L’avvocato dunque tutela i diritti fondamentali, dà voce ai più deboli, garantisce la corretta applicazione delle leggi. Per questo il suo ruolo è sotto attacco.
Non solo in Iran. In Turchia l’assassinio di Tahir Elci, Presidente dell’Ordine di Diyarbakir. In Cina Wang Quanzhang condannato per aver fatto sentire la sua voce in difesa dei diritti umani.

L’Italia non è da meno, anche da noi il ruolo dell’avvocato non va esente da affronti. Non vi è solo un velato (ma non troppo) intento di limitarne l’indipendenza ritoccando gli istituti da cui dipende il sostentamento economico di chi esercita questa professione ma, nel processo penale, è sempre più evidente il tentativo di delegittimare la funzione sociale della difesa degli imputati mediante la spinta ad identificare il ruolo del difensore con la figura dell’assistito. In tempi di galoppante giustizialismo l’avvocato dà fastidio, è chiaro. Potrebbe essere un ostacolo al nuovo processo penale che si vorrebbe ispirato allo slogan “indagini, processo, condanna”, possibilmente nel più breve tempo possibile e possibilmente senza inutili orpelli che altri chiamerebbero garanzie.

Occorre dunque saper dare adeguate risposte a chi vorrebbe far credere che l’avvocato nel processo difende il criminale e il suo crimine e non il diritto di tutti al rispetto della legge e del giusto processo.
Questo compito spetta agli Ordini che devono saper valorizzare in ogni sede il ruolo che l’avvocato ricopre e che si traduce nella garanzia per il cittadino della effettiva tutela dei diritti. Un Ordine moderno non può non far sentire la propria voce quando la funzione dell’avvocato subisce attacchi di questa gravità. Un Ordine al passo con i tempi, infatti, non può limitarsi a preoccuparsi del “proprio giardino” ma deve saper alzare lo sguardo, guardare oltre la siepe affrontando le sfide che i tempi impongono proteggendo la funzione sociale dell’avvocato in ogni contesto.

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