La riforma del processo tributario
29 Aprile 2022
La riforma del processo tributario,
per una giustizia tributaria non solo efficiente, ma anche “giusta”.
La Commissione tecnica, istituita dall’attuale Governo, per far fronte all’esigenza di riforma del processo tributario, compresa tra gli obiettivi del PNRR, è stata recentemente riconvocata, in formato ridotto, per completare il lavoro svolto nel passato anno 2021 e meglio focalizzare le scelte, riguardo le alternative in quella sede prospettate. Il lavoro del Comitato non è ancora terminato, anche per mancanza di accordo sulle conclusioni, ma l’esigenza di riforma del processo tributario è sempre più impellente.
L’arretrato dei giudizi pendenti in Cassazione (oltre 50.000 casi), la durata dei giudizi tributari di legittimità (oltre tre anni, con punte anche di sette anni), la percentuale di sentenze riformate in ultimo grado (oltre il 45%), sono dati che parlano da soli e danno un quadro inequivocabilmente scoraggiante dell’amministrazione della giustizia tributaria, di certo non adeguatamente bilanciato dalla relativa celerità dei due gradi di merito.
Sulle cause di tale situazione si discute da tempo e numerose (non del tutto convergenti) sono le proposte di modifica legislativa formulate e all’attenzione di Governo e Parlamento.
L’Avvocatura ha il dovere di prendere posizione, poiché un’area così importante, quale quella della giustizia tributaria, che costituisce un tutt’uno con la gestione del rapporto d’imposta ed è fondamentale per la creazione di una cultura virtuosa della funzione impositiva, non può essere abbandonata e lasciata alla gestione di altri.
L’assistenza tecnica nel giudizio tributario non è riservata agli Avvocati e le categorie professionali che, nel tempo, in sempre maggior numero, sono state abilitate alla difesa in giudizio dei contribuenti: questo è un tema delicato, da affrontare con estrema serietà, specie per contrastare quelle istanze che vorrebbero addirittura scardinare l’esclusiva riservata agli Avvocati nell’ultimo grado, di legittimità, ma, tale situazione, non può costituire un alibi al disinteresse.
Nel giudizio tributario sono in gioco fondamentali diritti soggettivi e, sovente, l’entità degli importi controversi è tale da incidere profondamente nella vita delle persone e delle imprese.
La riposta in sede giudiziale deve essere tempestiva, ma la fondamentale garanzia di un “giusto” processo non può essere sacrificata sull’altare dell’efficientismo fine a se stesso.
Cosa occorre fare, dunque? A nostro avviso, ci sono snodi importanti, prioritari, sui quali intervenire, in parallelo con la più generale riforma fiscale, anch’essa in cantiere e comprensiva di un’ineludibile codificazione della materia fiscale. Proviamo a metterli in fila, non per ordine di importanza, essendo tutti essenziali:
- il processo tributario vede contrapposti, nella stragrande maggioranza dei casi (esclusi cioè i tributi locali), l’Amministrazione finanziaria statale, impersonificata dalle Agenzie, ed i contribuenti, persone fisiche o giuridiche.
È importante che l’Ufficio del giudice (la sua struttura, la sua segreteria), sia indipendente ed autonomo dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che in ultima istanza, è parte in causa. La trasformazione delle Commissioni tributarie in Tribunali e Corti non è solo una questione nominalistica, deve avere un significato in termini di diverso radicamento; - il giudice tributario dei due gradi di merito deve essere giudice professionale, a tempo pieno, congruamente remunerato, adeguatamente formato e selezionato, con precisi obblighi di aggiornamento, perché, questo, richiede la materia. Anche il giudizio di Cassazione richiede adeguate regole di organizzazione dell’apposita Sezione Tributaria, onde evitare contrastanti pronunce, che creano incertezze ed alimentano il contenzioso. Le valutazioni sull’operato dei giudici tributari non devono seguire regole diverse da quelle ordinarie e devono essere istituiti i Consigli giudiziari, a cui gli Avvocati abbiano diritto di partecipazione;
- il contenzioso deve essere deflazionato attraverso l’introduzione di adeguati istituti anticipatori del giudizio, il ché significa, innanzitutto, un procedimento di mediazione efficace, gestito da mediatore terzo e indipendente (non da un diverso ufficio dello stesso ente impositore, come accade oggi), che faccia uso di banche dati indicizzate sulle sentenze, anche di merito, create con la partecipazione attiva dei professionisti abilitati (e quindi anche di noi Avvocati), di ausilio nella trattazione del caso e per le scelte che ambo le parti devono operare, prima dell’instaurazione del giudizio ed il sostenimento delle relative spese (che devono essere poste a carico della parte soccombente, anche se quella pubblica). Tutto ciò, senza prospettarsi come forma di giustizia predittiva. L’efficacia di tale strumento, unitamente a quello di altri istituti di composizione negoziale della vicenda contenziosa, quale la conciliazione, dipende dall’adeguatezza dell’incentivo, che deve essere riconosciuto al raggiungimento dell’accordo idoneo ad evitare l’instaurazione o la coltivazione della lite;
- l’accertamento giudiziale dei fatti di causa e, quindi, i poteri istruttori del giudice e gli strumenti a disposizione delle parti in lite, devono essere riequilibrati. Oggi, infatti, a fronte di un sistema di accertamento dei tributi che fa ampio uso di presunzioni, con conseguente inversione dell’onere della prova, permangono limiti intollerabili nell’esercizio dei diritti di difesa, a disposizione del contribuente, incompatibili rispetto alle garanzie previste dalla Costituzione e dalle norme unionali;
- strettamente collegato ai temi di cui sopra è la problematica relativa al rapporto tra giudizio tributario e giudizio penale derivante da un accertamento fiscale. È, in particolare, intollerabile che il medesimo contribuente possa essere condannato ad una sanzione penale (spesso pesante), in una situazione nella quale il suo debito di imposta non esiste più, perché l’accertamento è stato annullato nel giudizio tributario e/o il debito fiscale si è estinto, per intervenuto accordo con l’ente impositore. Del pari, è ben poco comprensibile che il contribuente possa essere condannato a pagare somme ingenti, derivanti da accertamenti confermati nel giudizio tributario, a causa delle limitazioni al diritto di difesa di cui sopra, pur essendo i fatti contestati disconosciuti nel giudizio penale, a cognizione piena;
- la riscossione dei tributi contestati, consentita, in misura rilevante, in corso di causa e anche in pendenza del primo grado di giudizio, allorché la fondatezza della pretesa impositiva è ancora incerta, costituisce anch’essa una stortura da correggere (tenendo presente che l’esigibilità del debito, anche sub judice, può costituire impedimento anche alla partecipazione alle gare pubbliche), non essendo un sufficiente contemperamento la possibilità di ottenere la sospensione dell’esecuzione in giudizio, oggi riconosciuta con esagerate cautele e riguardi rispetto gli interessi erariali, a discapito delle altrettante importanti esigenze del contribuente;
- la misura delle sanzioni amministrative di natura tributaria impone una riflessione generale sulla loro compatibilità rispetto al principio di proporzionalità, sempre più affermato a livello unionale, ma, nelle more, deve essere consentito al giudice tributario di procedere ad una rideterminazione (oltre che alla esclusione) delle stesse, tenendo conto delle evidenze in causa.
Il corretto rapporto tra fisco e contribuente, rispettoso dei reciproci interessi, inevitabilmente passa, e non può prescindere, dall’equilibrata gestione della fase contenziosa, che impone certamente risposte tempestive, ma, come detto, anche “giuste”.
Su questi temi, noi Avvocati, dobbiamo avere voce in capitolo!