Il processo penale del futuro: linee programmatiche e idee di riforma

23 Maggio 2022

La crisi pandemica ha evidenziato i nervi scoperti della Giustizia penale, quali l’arretratezza dell’organizzazione della macchina giudiziaria, la lentezza dei procedimenti penali e l’assenza di una informatizzazione diffusa degli uffici giudiziari.

Sono tutti problemi che affliggono da molto tempo la celebrazione dei processi nel nostro Paese e che impattano proprio sulla tutela dei diritti che si esercitano nel processo.

Principi come la presunzione di non colpevolezza sino a condanna definitiva, la formazione della prova nel contraddittorio delle parti, la parità fra accusa e difesa, sono oggi più che mai in pericolo rendendo con ciò “precari” i pilastri del c.d. Giusto Processo che l’illuminato legislatore costituzionale del 1999 aveva scolpito in Costituzione.

La tutela della libertà personale passa attraverso la doppia presunzione stabilita dall’art. 13 Cost., ovvero nono solo attraverso una riserva di legge (ordinaria?) ma pure per la c.d. riserva di giurisdizione. Solo per ordine motivato dell’Autorità Giudiziaria è possibile disporre difatti provvedimenti coercitivi e limitativi della libertà nei confronti dei cittadini e, più in generale, di chiunque sia sottoposto alla giurisdizione dello Stato.

Il diritto di difesa deve essere inalienabile e non sottoposto ad alcuna condizione, in nessuna fase del procedimento penale. Diritto di difesa che deve avere, come costante corollario, la presunzione di innocenza del soggetto sottoposto al procedimento penale, sino a condanna definitiva.

Su tali perni ruota quindi il processo penale, di stampo accusatorio, e su tali presupposti il legislatore del 1988, precursore della riforma costituzionale del c.d. Giusto Processo, era stato quindi concepito il “nuovo” codice di procedura penale. Vi è da evidenziare da subito che tale impostazione, tuttavia, evidentemente non gradita da buona parte della magistratura, ha subito negli anni durissimi colpi a “suon” di giurisprudenza,  colpi che hanno inevitabilmente e inesorabilmente attenuato, anche in maniera rilevante, il processo di stampo accusatorio, forse anche a causa dell’incompiuta riforma dell’ordinamento giudiziario e, nello specifico, del mancato completamento del progetto di distinzione fra magistratura giudicante e magistratura inquirente.

Senza tale passaggio, difatti, non si è concretizzata, nel processo, la ripartizione di ruoli fra Giudice e Pubblico Ministero e quindi, in ultima analisi, non è stato dato pieno risalto alla attuazione del principio di parità fra le parti processuali, da un lato (accusa e difesa) e, della terzietà del Giudice appunto, super partes, dall’altro, come sancito nell’art. 111 Cost.

La considerazione potrà sembrare banale, ma decisiva. Il “fallimento” del codice del 1988 è dovuto, probabilmente, in gran parte, a questa gravissima omissione, dall’altra, alla mancata retrocessione di parte della magistratura dalla mai sopita presunzione di poter accertare, senza alcuna interferenza di sorta, la verità processuale e storica, in modo appunto, prettamente inquisitorio e perfetto.

In tale ottica, le formalità del processo penale attuale sono spesso visto come un impiccio, una complicazione, una questione di etichetta, quando invece bisognerebbe prendere atto che la regolarità e la formalità dello svolgersi della procedura è in sé stessa esplicazione e tutela del diritto di difesa e garanzia affinché nel procedere al vaglio dell’accusa mossa all’imputato sia attuato e garantito un Giusto Processo, secondo i già noti canoni dell’art. 111 Cost.

In tale ottica, bisogna quindi ribadire la centralità non solo dei principi costituzionali, ma pure la primaria e costante ricerca della loro esplicazione, mediante gli altrettanti validi istituti previsti dal codice di procedura penale.

La mancata vigilanza sugli istituti del processo penale comporta difatti l’attenuazione o comunque la trasformazione dei presidi procedurali, sino a giungere, ad esempio, allo “smantellamento” delle ordinarie regole poste dal legislatore, come occorso nelle purtroppo notissime Sezioni Unite Barjami, che hanno infranto il totem dell’immutabilità del Giudice e dell’immediatezza della decisione rispetto all’assunzione del mezzo istruttorio.

Oggi, infatti, assistiamo impotenti, e senza alcuna “arma” processuale, al “valzer” di giudici che oramai ad libitum possono alternarsi e comparire nel mezzo dell’istruttoria dibattimentale, e pure scomparire, senza che tale sostituzione possa essere eccepita come vizio procedimentale rispetto alla formazione del convincimento del Giudice. Prova alla quale oggi il Giudice che decide delle sorti dell’imputato, e della libertà personale del medesimo, può tranquillamente mai aver assistito, potendo essere intervenuto oramai in qualsiasi momento del processo, affermando di aver letto le trascrizioni delle prove già assunte.

Quasi come se tali prove, che per legge si formano oralmente in contraddittorio davanti al Giudice terzo e imparziale, possano egualmente acquisirsi mediante “lettura” e che tale lettura possa diventare l’ordinaria cognizione del Giudice che poi emette una sentenza di condanna, anche per numerosi anni di carcere, nei confronti dell’imputato.

Attacco “sferrato” non tanto per ristabilire, in questo caso, chissà quale principio, ma per sopperire alla endemica disorganizzazione e carenza di programmazione degli Uffici Giudiziari, (oltre che di risorse).

Se poi si riterrà di eliminare anche l’appello, come oramai siamo abituati nella prassi della pandemia a verificare, ci ritroveremo un processo penale totalmente stravolto e oramai meramente cartolare dove oralità, immediatezza e terzietà del giudice saranno concetti meramente astratti e certamente non più pregnanti.

Insomma, il processo penale è certamente sotto attacco, ma forse è sotto attacco la concezione accusatoria stessa del procedere.

A tale attacco, in primo luogo, va risposto in maniera decisa e senza esitazioni, ristabilendo, nel processo,  la necessità  di tutelare  quei diritti fondamentali  dell’imputato e del cittadino che oggi vengono troppo stesso limitati o stravolti e sacrificati, in nome di una finta esigenza di giustizia, che il popolo reclamerebbe dallo Stato, ma che si tramuta troppo spesso, anche a causa della forte esposizione mediatica degli attori delle indagini penali, in sete di vendetta e in risposta alla richiesta di “sbattere il mostro in prima pagina”, nonché di comminare “condanne esemplari”.

Di certo vanno evitati gli eccessi del processo mediatico che, al solo fine di rispondere a tali esigenze dell’opinione pubblica, spesso e volentieri, anche in modo del tutto non previsto o comunque non deliberato, influiscono in maniera rilevante e preoccupante, sui processi in corso con interferenze e indebite anticipazioni del tutto inopinate e assolutamente da delimitare con regole precise e restrittive.

Tale deriva del processo, in primo luogo, deve essere contrastata ristabilendo la dignità e l’autorevolezza degli istituti primari del diritto processuale penale, fondati sul codice del 1988 e sulla riforma Costituzionale del Giusto Processo.

L’amministrazione della Giustizia penale, difatti, epurata da tutti gli elementi estemporanei che interferiscono con il sereno lavoro della magistratura, dovrebbe essere esclusivamente votata alla salvaguardia di un processo giusto, dove i diritti dei soggetti coinvolti siano il primo ed esclusivo cruccio di tutti gli attori del processo stesso. Una sentenza, anche di assoluzione, non sarà mai giusta se non saranno rispettati i canoni dettati dal legislatore e prima ancora, dalla Carta Costituzionale.

 Vi è poi il tema del carcere e dell’esecuzione della pena.

Nessuno Stato di Diritto si può permettere di trattare gli ultimi, e quindi i detenuti, in modo inumano, come troppo spesso siamo oramai stati abituati a leggere, nelle non sporadiche sentenze di condanna dello Stato italiano da parte delle Corti sovranazionali. Il rispetto dei principi della CEDU e il tema dei diritti umani sono argomenti che non possono essere tralasciati e anzi devono essere un altro dei punti centrali dell’azione di riforma del sistema penale, che deve essere conforme a tali principi e ai richiami del diritto pattizio.

Basta utilizzare la custodia cautelare in carcere come mezzo di indagine o mezzo di anticipazione della pena. 

Basta riempire le carceri oltre i limiti della dignità umana.

Basta utilizzare la pena come mezzo retributivo, ma parametrare l’esecuzione penale esclusivamente alla rieducazione del condannato, unico faro che dovrebbe guidare il legislatore in tale fase della giustizia penale. 

Ciò premesso, ovvero la preliminare necessità di salvaguardare i principi cardine del processo penale dai tentativi di reintrodurre un processo inquisitorio o comunque “spurio”, è doveroso concentrarsi sulle proposte di riforma e miglioramento, rectius, adeguamento della procedura al progredire dell’elaborazione del pensiero e al progredire dei tempi.

In quest’ottica, l’intento è quello di governare il futuro, poiché si è convinti che non si può continuare a combattere battaglie di retroguardia, a tutela dello status quo, nelle quali storicamente la classe, anche dell’avvocatura (lo si deve ammettere) ha trovato spesso rifugio e-o conforto.

Ciò almeno per due serie di ragioni: in primo luogo, perché l’avvocatura, sia per il corso del tempo, che per una moltitudine di fattori, ha perso quel rilievo e quel prestigio di cui si è sempre fregiata e sul cui valore ha sempre fatto leva per salvaguardare il proprio ambito professionale. In secondo luogo, perché il ruolo dell’avvocato è profondamente cambiato negli ultimi tempi, anche qui per una molteplice serie di fattori, e oggi non corrisponde necessariamente più all’idea, quasi mitologica incarnata nella figura dell’avvocato, per eccellenza, Piero Calamandrei.

L’avvocatura di quello stampo non esiste più da anni, per una semplice ragione: l’Italia post industrializzazione e post anni 2000 è un Paese del tutto diverso e assai mutato, sia da un punto di vista culturale che da un punto di vista sociale ed economico. Mutamenti destinati ulteriormente ad accentuarsi e a radicalizzarsi nel mondo post-pandemia e a cui l’avvocatura dovrà, anche suo malgrado, necessariamente adattarsi, o, meglio rispetto ai quali dovrà evolversi.

In tale ottica bisogna riconoscere senza esitazioni o pregiudizi che l’avvocato odierno è un professionista, a volte altamente specializzato, e che agisce in contesti molto più assimilabili all’attività di impresa, in ogni sua dimensione, che alla mera attività professionale di “bottega”.

In tale ottica, la giustizia penale, e quindi anche l’avvocato penalista, si devono adeguare ai tempi correnti, quale il primario indirizzo dell’informatizzazione del processo penale, ultimo residuo baluardo della Amministrazione Pubblica rimasto sino ad oggi (rectius ieri) a tempi remoti e non più attuali.

Oggi, l’informatizzazione del processo penale non è un fine o un traguardo da raggiungere, ma deve essere concepita con un mero strumento, di basilare importanza, che assiste il procedimento e lo rende più snello, più chiaro, più efficiente, quindi più equo e più giusto.

L’introduzione del Portale per il deposito degli atti penali e della possibilità, più in generale, di depositare ogni atto in ogni stato e grado in modo telematico sono novità da accogliere con entusiasmo e certamente da implementare affinché diventino veramente strumenti utili ed efficienti, al servizio dell’avvocato e del cittadino. 

Solo un’organizzazione dell’attività di cancelleria efficiente e moderna può garantire quel supporto tecnico-amministrativo decisivo al processo che permetterà di evitare lungaggini e appesantimenti non più sostenibili.

L’informatizzazione e la telematizzazione del processo sono dunque temi da affrontare e da governare, nell’interesse stesso dell’avvocatura moderna e tecnologica, nell’ottica appunto di una vera e propria innovazione e smaterializzazione delle “carte” del processo.

Ciò, tuttavia, non vuol portare alla smaterializzazione del processo, dell’aula o delle parti.

L’assunzione delle prove e lo svolgimento del contraddittorio, in senso stretto, vanno garantiti in aula davanti ad un Giudice e alle parti fisiche, senza alcuna esitazione di sorta.

La riforma della giustizia penale, intesa come l’implementazione del codice di procedura del 1988, dovrebbe avere dunque queste principali direttrici:

  • salvaguardare il processo accusatorio e la centralità della formazione della prova in contraddittorio tra le parti, come metodo ontologico preferito nell’accertamento della verità processuale;
  • incentivare l’utilizzo di riti alternativi in tutti i casi nei quali tale volontà venga dalle parti (con il consenso dell’imputato), concedendo maggiori benefici e incentivi a fronte di tale retrocessione dalle garanzie del processo (ad esempio l’allargamento del “patteggiamento” anche fino a 10 anni, per tutta una generalità di reati, anche gravi);
  • aumentare la funzione di filtro dell’udienza preliminare;
  • contingentare con decadenze processuali le fasi e i gradi del processo giungendo a prevedere una sorta di prescrizione per inerzia dell’azione penale;
  • depenalizzare e razionalizzare le fattispecie di reato punibili proseguendo nel percorso che già prevede, in astratto, la c.d. “riserva di codice”;
  • aumentare lo spazio per la definizione dei procedimenti sia mediante la messa alla prova che mediante il raggiungimento di accordi e transazioni fra persona offesa e imputato in una serie determinata di reati, anche gravi;
  • fornire al giudice per le indagini preliminari la potestà e il controllo sulla tempestività e sulla correttezza dell’iscrizione delle persone sottoposte alle indagini nel registro ex art 335.

Sono alcune delle proposte individuate che serviranno a rendere il processo penale più giusto e garantista e certamente di durata ragionevole.

Il tema della prescrizione non diviene un tema centrale nel momento in cui si potranno prevedere, appunto, ipotesi di decadenza per fase e grado, in caso di inerzia dell’azione penale, portando quindi sul piano procedurale il tema della durata del processo. In caso contrario, va certamente rivisto l’intero impianto della riforma Bonafede che, di fatto, cancella ogni possibile limite e controllo alla durata del processo penale, rendendo in modo inaccettabile il processo penale senza una durata massima prestabilita.

La riforma del Csm è, infine, l’ultimo, ma non in ordine di importanza, dei temi da affrontare. I recenti scandali hanno dimostrato che l’autogoverno della magistratura non gode più della autorevolezza che i Costituenti le avevano donato. Ciò poiché i magistrati stessi non sono stati in grado, al pari di altrettante istituzioni repubblicane, di preservare l’istituzione dagli interessi di parte. É quindi necessario prevedere un nuovo sistema di elezione della classe dirigente della magistratura, prevedere la separazione delle carriere già menzionata e rivedere, forse, quei pesi e contrappesi che bilanciano gli organi costituzionali e che sono al servizio della separazione dei poteri legislativo, esecutivo, giudiziario, quale punto cardine di ogni Stato di Diritto.

 

Matteo Picotti

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