Diritto del lavoro: nuove leggi e “nuovo avvocato”
14 Marzo 2019
A cura dell’avv. Giorgio Treglia.
Un importante convegno organizzato da Movimento Forense dà lo spunto per svolgere qualche riflessione sul ruolo dell’avvocato in un momento storico in cui, il proliferare di leggi in materia di Diritto del Lavoro, crea non poche problematiche.
Il convegno “Licenziamenti illegittimi e tutele legittime” ha avuto il pregio, fra l’altro, di portare ad una ricognizione della attuale normativa in tema di licenziamenti.
Ebbene fra “tutele crescenti” e “decreto dignità” la via della soluzione di un eventuale conflitto, in caso di licenziamento, diventa davvero irta di complessità.
Si sa che, in caso di recesso, il ruolo dell’avvocato è, normalmente, relegato alla fase processuale, in cui egli è chiamato a difendere gli interessi del lavoratore o del datore davanti al giudice competente. Tralasciamo, perché questa non è la sede, di disquisire intorno alle malefatte del processo c.d. Fornero; proviamo invece a valutare, forse sarebbe meglio dire a rivalutare, il ruolo dell?avvocato nella fase antecedente il conflitto.
Normalmente le aziende, soprattutto quelle di grandi dimensioni, sono dotate di appositi uffici deputati alla gestione di tutte le questioni che riguardano il personale dipendente. Con la conseguenza che le questioni inerenti, ad esempio, un licenziamento, vengono ivi decise ed attuate.
È proprio in questa fase che, credo, la presenza di un avvocato, magari specializzato in una materia complessa, possa giocare un ruolo primario, come durante l’ “audizione” tecnica e non solo – momenti in cui il parere dell’avvocato può essere di grande aiuto, sia per quel che attiene la retta applicazione della norma astratta al caso concreto, sia per la valutazione conseguente del “rischio lite” – sia ancora perché il consiglio dell’avvocato può addentrarsi in valutazioni di tipo etico che assumono una importanza focale.
E mi spiego meglio.
Può darsi che vi siano situazioni che legittimino il recesso per giusta causa o per giustificato motivo; ma può darsi anche che nessuna delle situazioni dinanzi descritte abbia a palesarsi e che i motivi di recesso siano altri. È accaduto, ad esempio, che un certo datore di lavoro abbia avuto “desiderio” di risolvere un contratto di lavoro con un proprio dipendente perché “non si sa perché” ma “meglio che quel signore vada via”, così diventato antipatico.
Ecco che, in questo caso, ci vuole tutto il coraggio del caso, e che l’avvocato deve mostrare, per dire al datore che quel licenziamento non s’ha da fare perché sarebbe illegittimo e privo degli elementi suoi propri, con tutte le negatività conseguenti.
Di più, pur dovendo sempre l’avvocato agire con “passione ragionata” per difendere gli interessi della parte che assiste, è altrettanto necessario che egli abbia anche il coraggio di ritirarsi, laddove gli obiettivi del cliente siano contrari ai principi che informano la materia di riferimento.
Così facendo, ovvero avendo anche il coraggio di sconsigliare un certo tipo di azione, si può dire che egli contribuisca a fare giustizia.
Dunque, in una ridda di norme spesso diacroniche, è necessario continuare a studiare la materia di riferimento, anche se può apparire noiosa ed incoerente. D’altro lato è necessario “introdursi” all’interno dell’organizzazione datoriale, al fine di rendere davvero un servizio di valore, anche nella quotidianità.
Diversa l’ipotesi in cui si abbia ad assistere il lavoratore, atteso che, in quel caso, il rapporto fra professionista e cliente è, di solito, un poco più stretto: spesso il legale è chiamato a consigliare comportamenti ma, di fatto, si subisce l’iniziativa del datore.
Ecco: penso sia importante vedere un avvocato che conosca la materia tecnica e abbia scienza e coscienza della realtà che lo circonda.