Algoritmo e giustizia

18 Febbraio 2019

AndreaDelCornoA cura di Andrea Del Corno

Nel febbraio 2013 Eric Loomis venne arrestato in Wisconsin per resistenza a pubblico ufficiale dopo essere stato trovato alla guida di un auto rubata, utilizzata nel corso di una sparatoria.
Loomis venne condannato a seguito dell’applicazione da parte della Corte del sistema di intelligenza artificiale denominato COMPAS, vale a dire Correctional offender managment profiling for alternative sanctions (on line si trovano corsi per l’utilizzo del software).

COMPAS si articola in un questionario composto da circa 137 domande che vengono sottoposte all’imputato domande e che riguardano, ad esempio, età, attività lavorativa, vita sociale, grado d’istruzione, legami personali e sociali, opinioni personali su alcuni temi e percorso criminale. A fronte del ricorso di Loomis, inevitabile verrebbe da commentare, la Corte Suprema ha dichiarato la correttezza della Sentenza che lo riguardava sulla base dell’assunto che sarebbe stata la stessa anche senza l’utilizzo di COMPAS, stabilendo anche il principio in base al quale l’utilizzo di un algoritmo è legittimo a condizione che non sia l’unico elemento valutativo del caso.

Il caso Loomis dimostra che un algoritmo è stato utilizzato proprio in fase di cognizione per l’espressione di una sentenza di condanna in un caso che, tra l’altro, non risulta essere unico.
Il sistema americano pare quindi orientato verso l’applicazione concreta dell’intelligenza artificiale.
Questa vicenda processuale richiama il tema della cosiddetta giustizia predittiva, che merita una trattazione più estesa, che consiste, in poche parole, nella possibilità di anticipare, sempre tramite algoritmi, il probabile ragionamento del Giudice e quindi la possibile sentenza. Alcuni siti che si potrebbero inquadrare nell’ambito della giustizia predittiva già esistono, remidafamiglia ad esempio, ma certamente il tema pone una serie di problemi. È subito percepibile infatti che essa potrebbe essere uno strumento utile per valutare l’opportunità di esperire o meno una vertenza oppure, sul versante problematico, uno strumento a disposizione del giudicante per giungere ad una pronuncia frutto di un calcolo algoritmico, con ogni conseguenza potenzialmente negativa.
Il sistema italiano è a questo punto (il tema è trattato di recente da Luigi Viola nel suo volume “interpretare la legge con modelli matematici”), mentre in campo europeo l’art. 22 gdpr di recente introduzione stabilisce che “l’interessato ha il diritto di non essere sottoposto a una decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato, compresa la profilazione, che produca effetti giuridici che lo riguardano e che incida in modo analogo significativamente sulla sua persona”.
Il contenuto dell’articolo non si discosta quindi, quantomeno ad una prima lettura, dall’esperienza americana.

Siamo quindi alle soglie di una nuova era oppure l’intelligenza artificiale è un mostro che è già entrato nelle nostre vite per stravolgerle?
Intelligenza artificiale (acronimo d’suo comune AI) è un’espressione coniata da John McCarty nel 1956, studioso d’informatica, nel corso di uno dei primi seminari sul tema che si tenne presso il Dartmouth College di Hannover (New Hampshire). Per vedere invece un primo approccio ad un modello matematico applicato al pensiero e alla costruzione di nuove proposizioni con la certezza dei procedimenti logico matematici dovremmo risalire a Leibniz che nella sua opera del 1666, dissertatio de arte combinatoria, teorizza proprio questo metodo, partendo tra l’altro dalle categorie aristoteliche.
Se si vuole porre una differenza o una traccia “evolutiva” dell’intelligenza artificiale allora questa non va vista nell’elaborazione di un nuovo modo di pensare quanto piuttosto nell’implementazione della potenza di calcolo, si veda quindi come l’accelerazione del progresso che ci condurrà alle soglie dell’era informatica inizia con i primi IBM degli anni ’60 e con i primi algoritmi elaborabili. I cellulari sono figli di quell’era, come è noto.

L’intelligenza artificiale non è un mostro ma realizza in bit un pensiero umano molto risalente, connesso con la nostra natura e con l’evoluzione del nostro pensiero sin dagli albori; non è una rivoluzione del modo di pensare, un qualcosa di nuovo per intenderci, ma rappresenta piuttosto la concreta realizzazione della logica matematica che da sempre ci accompagna.

I temi sul tappeto sono molti, giustizia predittiva, algoritmi per la formulazione di sentenze, blockchain, smart contract e app di AI, non ultimo il software Corriere della Sera del 31 gennaio 2018 – per trovare l’avvocato d’affari più idoneo per il proprio caso; si tratta quindi dello sviluppo di tecnologie al nostro servizio, anche di un nuovo modo d’intendere la professione, sapendo che la nostra sfida è rispetto a questo futuro e al modello professionale che sin qui ci ha accompagnato.
Sta a noi governarne i processi.

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